Oasi, dune, rocce, sabbie: questi i temi della pittura di Albino Moro, nata nel Sahara, per esperienza diretta dell’artista. Resterebbe deluso chi nei suoi quadri, cercasse riscontro ad una immagine del deserto derivata da convenzionali nozioni geografiche. Di fatto, ogni viaggio contiene in sé il suo doppio metaforico; così sulle tele, alla rappresentazione del luogo si sovrappone la percezione del medesimo. La morfologia dell’anima annulla l’aridità fisica del paesaggio, superandola; accade, allora, che la realtà si contrapponga al realismo, come la completezza della visione eluda il limitato vedere. La distesa sabbiosa si incarna nell’artista generando ritmo ed equilibrio, i quali entrambi ritroviamo nei suoi dipinti. Come d’incanto appaiono figure avvolgenti, le quali ci attraggono nei colori caldi ed espansivi con cui si manifestano. Lo spazio indefinito e la percepibile assenza del tempo ci offrono un’altra realtà ed insieme svelano l’uomo altro che giace in ogni essere umano. L’orizzonte smarrito della quotidiana realtà consente di elaborare lo spazio desertico in una immagine speculare dell’essere. Come la cornice al quadro, il silenzio ritaglia i contorni della visione: [immensa distesa esteriore si fa condizione interiore dell’artista.Analogamente ad un Tuareg, Il pittore sente di appartenere al deserto fino alla totale fusione tra il soggetto pensante e l’oggetto delle sue rappresentazioni. Nelle lettere dal deserto, il mistico Carlo Carretto, scrive che “la notte sahariana, col suo firmamento, non è solo un fantastico quadrante di orientamento, ma è anche una dimora riposante per l’anima”. Il nostro artista, nella solarità della luce, sembra ampliare questo assunto; sorretto dalla convinzione che la quotidianità del vivere, contraffatta dall’abitudine, sia solo una guerra tra poveri. L’arte di Albino Moro nasce, dunque, da una esigenza etica e nei suoi quadri l’assenza fisica dell’uomo è compensata dalla forte presenza morale dell’autore. Sovviene come, all’obiezione del principe, relativa alla condizione di solitudine nel deserto, il serpente risponda: “si è soli anche con gli uomini”. Inizialmente protetti dalla rassicurante distanza dell’osservatore, un graduale passaggio dentro la tela ci lascia più che penetrare negli scorci desertici, finché ne veniamo assorbiti: Improvvisi quanto fantastici miraggi introducono ad inusitate riflessioni. Nel binomio uomo-cammello in simbiosi perfetta, cui si è solito far riferimento nell’immaginario, possiamo simbolicamente leggere la faticosa resistenza contro l’aridità, vissuta sotto il peso della gobba del sapere; e la “nave” che solca il sogno della vita attraverso le ombre del deserto. Prima che il miraggio svanisca, pare si possa scorgere nella sagoma del cammelliere la fisionomia nota dell’artista.
Mario Falcucci Pescara 2008
Cataloghi
2022 Catalogo Premio Sulmona
2021 Naturalia, Museo Barbella Chieti
2017 Vagiti Ultimi, Cisterne Romane – Atri (Te)
2016 Collezione Pinacoteca di Casoli Pinta
2016 20° Fiera internazionale d’arte – Innsbruck
2012 Arte contemporanea, Museo V.Colonna – Pescara
2009 Arte contemporanea per L’Aquila – Roma
2008 Tracciati d’arte in Abruzzo
2005 Mostra personale MuMi Francavilla al Mare (Ch)
2000 Palazzo Pardi – Colonnella (Te)
1994 Mostra personale a Palazzo II Melatino
1990 Mostra personale a Collelongo (AQ)
1988 Premio Sulmona
1980 Premio Avezzano