Sahara: il fascino del deserto

Fin dall’epoca romana, e ancor prima, grandi viaggiatori, ricercatori, scienziati e scrittori,  hanno esplorato il deserto in ogni dove, seguiti ai nostri giorni da frotte di epigoni, che con varie e disparate motivazioni seguitano a percorrere il deserto del Sahara. Che perciò stesso sembra non avere più misteri.
Non è così e non lo sarà mai, perché anche quando il grande “vuoto” sarà stato mappato fin nei più recessi meandri rimarrà pur sempre il grande enigma rappresentato dal  mistero del fascino del deserto.
A fronte di ciò, per quello che riguarda il mio percorso di vita nel deserto, credo che il “Mistero” possa essere svelato o almeno spiegato, solo se lo si recepisce come luogo sacro, dove l’uomo può ritrovare sé stesso lontano dalle complicazioni sociali, perché  come narra lo scrittore Sven  Lindqvist, “ ..qui vivrei di pane e datteri, osserverei la monachella e la cornacchia del deserto, ascolterei le tortore  delle palme  nel boschetto di datteri e all’alba mi metterei seduto a contemplare la palude salata, godendo della monotonia e del silenzio del deserto.”
E ad avvalorare quanto sopra, un detto Tuareg sostiene che quando ci si allontana dall’oasi verso il deserto, si ritorna sempre con qualcosa che in noi è mutato.
Esso, dunque, è il luogo di assoluti silenzi, di ore e ore di contemplazione vaghe e riposanti per l’anima, luogo dove non ci sono ostacoli al Pensiero e a sera non ci sono rimpianti per tutte quelle ore perdute nel silenzio. Il deserto vive una costante trasformazione, ed in essa ci trasformiamo a nostra volta … Le dune, dai sinuosi profili, dalle sabbie dai colori più vari e fantastici, si spostano continuamente creando nuove realtà, perché in esse avviene naturalmente un processo di sintesi e di equilibrio nel quale, entropicamente, la struttura del reale tende ad una forma sempre più ordinata e quindi semplice. Gli immensi scenari di dune e rocce dalle forme più strane, a volte fiabesche e dolci, e a volte forti e severe, ma di grande rigore compositivo, si impregnano di sottili atmosfere di luci e colori creando un palpitare di sensazioni che gravitano, in una sospensione quasi fisica. In tale contesto sono solito operare costantemente una ricerca morale dell’esistenza, la ricerca della solidarietà umana. Laggiù nel Sahara, inoltre, forse sono rinato pittore, stupefatto davanti a quel nuovo mondo. L’amore per la pittura mi ha portato ad addentrami nel deserto per qualche mese, in anni diversi. Ho dipinto il deserto dal vero, all’acquarello, mentre la macchina camminava lenta fra anfratti di rocce con scuotimenti continui, o sugli immensi ténéré sabbiosi, su  dune sinuose e fra pinnacoli di arenaria, o durante le brevi soste nei trasferimenti e quelle più lunghe negli accampamenti, nei silenzi della notte nel chiuso della tenda. Ma i miei quadri, dicevano gli amici sahariani, erano diversi dalla realtà che ci circondava … Come mai? Perché non ricordavano la paura, le ansie, i timori suscitati da certi ambienti? Le palpitazioni di certi passaggi difficili?… Forse perché, credo, dopo tanti anni di deserto, anche le contrade più severe ed i momenti più ostici discoprivano comunque il loro straordinario fascino, che io ormai rappresentavo dipingendo in modo libero, in processo pittorico fatto di amore e di vissuto, fino a cogliere nuovi significati vitali, nuove dimensioni  più conformi alla mia visione del vero. Allora, cioè, in quei momenti gli elementi reali rappresentativi venivano sì  descritti, ma non applicati a questo o a quel motivo oggettivo, perché ogni mia visione reale ne evocava altre in un crescendo di sensazioni, di ritmi, di vibrazioni, entro una sommatoria di segni e colori.
Tutto, attorno a me cambiava, in un contesto di costante evoluzione, ma era  comunque e sempre una manifestazione dello stesso SAHARA.

Albino Moro